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La legge 9 gennaio 2019, n. 3, abrogando l’art. 346 c.p. e riformulando l’art. 346 bis c.p., ha incluso in tale ultima fattispecie sia la relazione asserita sia quella esistente, nel contempo dando alternativamente rilievo tanto alla vanteria, quale allegazione autoreferenziale di una specifica capacità di influenza, quanto allo sfruttamento di quella capacità, in funzione della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, quale prezzo della mediazione illecita verso un soggetto qualificato o quale remunerazione dell’esercizio da parte di questo delle sue funzioni o dei suoi poteri. Ciò significa che la fattispecie è configurabile a prescindere dalla circostanza che ricorra una vanteria da parte del soggetto che riceve la promessa o la dazione, essendo bastevole che costui consapevolmente si avvalga dell’influenza riconosciutagli, ottenendo per questo denaro o altra utilità, ciò in cui si concreta lo sfruttamento della relazione.

In forza della clausola di sussidiarietà espressa contenuta nell’incipit della norma il delitto in esame rimane, invece, assorbito ove sia configurabile un vero e proprio patto corruttivo, di cui agli artt. 318, 319, 319 ter o ai reati di cui all’art. 322bis c.p. Tali ipotesi corruttive si configurano qualora la promessa o la dazione siano volte a remunerare il pubblico ufficiale munito delle competenze dedotte nel patto o comunque rientranti nelle competenze dell’ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al quale esercita o possa esercitare una forma di ingerenza, sia pure di fatto.

 

Penale Sent. Sez. 6 Num. 12095 Anno 2020
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: RICCIARELLI MASSIMO
Data Udienza: 19/02/2020

 

SENTENZA

sul ricorso presentato da
P.M. presso Tribunale di Potenza
nei confronti di
De Bonis Cristalli Raffaele Mario, nato il 18/12/1934 a Potenza

avverso l’ordinanza del 7/11/2019 del Tribunale di Potenza

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale M.
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
udito il difensore, Avv. Massimo Biffa, che si è riportato alla memoria depositata
chiedendo la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

 

RITENUTO IN FATTO

 

1. Con ordinanza del 7/11/2019 il Tribunale Potenza in sede di riesame ha parzialmente annullato quanto alle incolpazioni di cui ai capi b) e d), ma per il resto confermato quella del 14/10/2019, con cui il GIP del Tribunale di Potenza ha applicato a De Bonis Cristalli Raffaele Mario la misura cautelare degli arresti domiciliari.

2. Ha presentato ricorso il P.M. presso il Tribunale di Potenza, in relazione all’annullamento dell’ordinanza genetica nella parte riguardante il reato di traffico di influenze ex art. 346-bis cod. pen., di cui al capo d) dell’incolpazione provvisoria.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 346- bis e 319 cod. pen.
L’ipotesi accusatoria si incentrava sulla dazione della somma di euro 25.000,00 da parte del De Bonis a tal Di Lascio, uomo di fiducia del Governatore della Regione Basilicata, perché con la sua influenza agevolasse la società facente capo a tal Barozzi, cliente del De Bonis, nella trattazione da parte dei competenti uffici regionali del finanziamento e del pagamento di lavori riferiti alla realizzazione di un’opera appaltata alla società del Barozzi.
Il Tribunale aveva tuttavia escluso l’ipotesi oggetto di incolpazione, in quanto non era emersa una vanteria del Di Lascio ed era risultato che il De Bonis era in grado di tenere diretti contatti con personaggi influenti, e aveva semmai ravvisato il fumus di una pattuizione di tipo corruttivo, nell’ambito della quale il Di Lascio era inserito, in quanto soggetto in stretto collegamento con i contraenti del patto, quale uomo di fiducia del Presidente Pittella e collaboratore con il capogruppo PD. Il ricorrente, a fronte di ciò, rileva che la documentazione acquisita aveva posto in luce che lo sblocco della situazione riguardante il Barozzi era cominciato all’inizio del 2019, allorché la Giunta regionale, assente il Pittella, perché sospeso in ragione di separate vicissitudini giudiziarie, aveva approvato l’aumento per il completamento dell’appalto, dopo di che si erano progressivamente registrati ulteriori interventi dell’apparato tecnico volti a propiziare esiti conformi agli auspici del Barozzi, in una fase in cui né Pittella né Di Lascio avevano competenze dirette sul procedimento e il Pittella nemmeno sul versante politico, fermo restando che il condizionamento dell’evoluzione della pratica vi era stato.
Tali elementi consentivano di ravvisare solo il delitto oggetto di incolpazione e non quello di corruzione.
Inoltre il Tribunale aveva erroneamente interpretato l’art. 346-bis cod. pen., dando rilievo all’aspetto della vanteria, che a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 3 del 2019 non avrebbe potuto considerarsi elemento fondante, potendosi configurare il reato nei confronti di chi abbia davvero relazioni e ruolo ed eserciti la sua influenza, facendosi remunerare.
Il Tribunale non aveva considerato che la fattispecie pone in alternativa la vanteria e lo sfruttamento effettivo delle relazioni, nel caso di specie da correlarsi alla vicinanza del Di Lascio al Pittella, parimenti in grado di caldeggiare la pratica Barozzi.
Peraltro il Di Lascio non avrebbe avuto motivo di vantare alcunché, in quanto era ben nota la sua vicinanza ad ambienti politici e amministrativi e per questo era cercato dal De Bonis.
Segnala il ricorrente la valenza di alcune conversazioni intercettate e la neutralità degli elementi valorizzati dal Tribunale, ribadendo che il delitto di corruzione avrebbe richiesto che il pubblico ufficiale avesse le competenze dedotte nel patto, mentre nel caso in esame, per ragioni diverse, ciò non avrebbe potuto dirsi né per il Di Lascio né per il Pittella.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in ordine all’assenza di elementi sintomatici della condotta di traffico di influenze e al fumus del delitto di corruzione.
Rileva il ricorrente che il Tribunale aveva dato rilievo all’assenza di prova di condotte di vanteria e alla presenza del fumus della corruzione, ma poi in concreto non aveva sviluppato alcuna motivazione sugli elementi sintomatici di tale fumus. Rileva inoltre che nelle pagg. da 61 a 75 il Tribunale, nel dar conto del compendio indiziario, aveva enfatizzato frasi captate per dimostrare che era il De Bonis a cercare il Di Lascio e che dunque era mancata la vanteria da parte di quest’ultimo, nel quadro di un rapporto di parità tra De Bonis e Pittella, e aveva inoltre nella medesima prospettiva esaminato l’iter amministrativo della pratica, peraltro dando vita ad una elencazione di risultati, slegata rispetto al fine di dimostrare l’assenza di vanteria e il fumus della corruzione.
Ed ancora il Tribunale era incorso in un errore logico nel rimarcare l’autorevolezza del De Bonis, quale soggetto in grado di relazionarsi autonomamente, in quanto i riferimenti alle intercettazioni deponevano nel senso contrario, attestando che semmai il De Bonis si recava nello studio del Marsico anche su indicazione di Di Lascio, fermo restando che comunque il dato era compatibile con la ricostruzione accusatoria, potendosi ipotizzare che il De Bonis anche in proprio giocasse le sue carte, agendo su più fronti.
Ma alla resa dei conti l’intera motivazione era fondata sull’erronea impostazione dei profili giuridici, nel presupposto che fosse necessario riscontrare condotte di vanteria, che avrebbero invece potuto mancare, senza incidere sulla configurabilità del reato.

3. Ha depositato una memoria il difensore del De Bonis, deducendo l’inammissibilità del ricorso, in quanto generico e comunque volto a contestare la valutazione di merito, adeguatamente motivata dal Tribunale, e in quanto volto ad introdurre profili non emergenti specificamente dal generico capo di incolpazione, quanto al rilievo della condotta di sfruttamento, e comunque manifestamente infondato sotto il profilo dell’analisi giuridica della fattispecie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Il Tribunale, nel rivalutare il quadro indiziario, è incorso nei vizi denunciati dal P.M. ricorrente, da un lato indebitamente valorizzando l’elemento della vanteria, a fronte dell’effettivo tenore dell’art. 346-bis cod. pen., come riformulato dalla legge 3 del 2019, e dell’oggetto dell’incolpazione provvisoria, dall’altro limitandosi genericamente a prospettare in controluce il fumus di un patto corruttivo, al cospetto di un quadro indiziario di per sé coerente con l’ipotesi accusatoria e in assenza della precisa indicazione dei poteri e delle competenze nel patto, riferibili a pubblici ufficiali asseritamente in esso coinvolti.

3. Deve al riguardo in generale osservarsi che il reato di traffico di influenze è destinato ad assicurare copertura anticipata a tutte le forme di programmata interferenza con l’agire della P.A., idonea ad alterarne il buon andamento.
In tale prospettiva la legge 3 del 2019, in luogo dell’equivoco riferimento alla millanteria, contenuto nell’originaria fattispecie di cui all’art. 346 cod. pen., contrapposta allo sfruttamento di relazioni esistenti, ha incluso nell’unica fattispecie di cui al riformulato art. 346-bis, cod. pen., sia la relazione asserita sia quella esistente, nel contempo dando alternativamente rilievo tanto alla vanteria, quale allegazione autoreferenziale di una specifica capacità di influenza, quanto allo sfruttamento di quella capacità, in funzione della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, quale prezzo della mediazione illecita verso un soggetto qualificato o quale remunerazione dell’esercizio da parte di questo delle sue funzioni o dei suoi poteri.
Ciò significa che la fattispecie non riposa necessariamente sulla millanteria o sulla vanteria, ma può essere integrata dalla correlazione eziologica tra promessa o dazione da un lato e sfruttamento della capacità di influenza dall’altro, in quanto quest’ultima costituisca un dato che non necessiti di specifica illustrazione ma possa dirsi il presupposto anche implicito dell’intercorsa pattuizione o comunque della dazione.

4. Va poi rimarcato che l’ipotesi del traffico di influenze è caratterizzata da una clausola di sussidiarietà espressa, in forza della quale la stessa sfuma ed è assorbita, ove sia invece configurabile un vero e proprio patto corruttivo riconducibile alle fattispecie di cui agli artt. 318, 319, 319-ter o ai reati di cui all’art. 322-bis.

Conseguentemente deve escludersi la configurabilità del delitto di cui all’art. 346-bis cod. pen. allorché la promessa o la dazione siano volte a remunerare il pubblico ufficiale e questo sia direttamente attratto nel patto, divenendone partecipe, quale beneficiario diretto o indiretto del denaro o dell’utilità.

E’ infatti di tutta evidenza che in un caso del genere non vi è ragione di apprestare una tutela anticipata rispetto ad un rischio di coinvolgimento dell’effettivo esercizio della funzione, che si è ormai concretizzato.

5. Devono peraltro formularsi ancora due precisazioni di carattere generale.

5.1. In primo luogo si rileva che il reato di cui all’art. 346-bis è aggravato se chi indebitamente fa dare denaro o altra utilità riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio: ciò, al fine di distinguere tale fattispecie da quella della corruzione, implica che la qualifica venga in rilievo come mera qualità di posizione, non implicante il dinamico manifestarsi di competenze e poteri del soggetto qualificato, risultando ravvisabile il delitto di corruzione quando al contrario risultino specificamente dedotti all’interno del patto quelle competenze o quei poteri.
Va infatti richiamato il principio consolidato in forza del quale il delitto di corruzione rientra tra i reati funzionali, con la conseguenza che l’atto dedotto nel patto, se non deve essere ricompreso nelle specifiche mansioni, deve comunque rientrare nelle competenze dell’ufficio cui il soggetto appartiene e in relazione al quale eserciti o possa esercitare una forma di ingerenza, sia pure di fatto (Sez. 6, n. 17973 del 22/1/2019, Caccuri, rv. 275835; Sez. 6, n. 23355 del 26/2/2016, Margiotta, rv. 267060).
Tale principio deve essere letto alla luce di quello in forza del quale l’atto di ufficio deve concretare l’esercizio dei poteri funzionali, non rientrando in esso quello che debba intendersi compiuto «in occasione dell’ufficio» e che se del caso si risolva nella mera segnalazione o raccomandazione (Sez. 6, n. 7731 del 12/2/2016, Pasini, rv. 266543; Sez. 6, n. 38762 del 8/3/2012, D’Alfonso, rv. 253371).
5.2. In secondo luogo deve osservarsi che la relazione di sussidiarietà rispetto alle ipotesi di corruzione implica che, in presenza di elementi di per sé coerenti con la sussunzione nella fattispecie del traffico di influenze, il delitto di corruzione possa dirsi prevalente, solo in quanto questo sia non solo genericamente prospettato ma anche concretamente suffragato, in ragione del fatto che originariamente il prezzo fosse causalmente destinato al soggetto qualificato e non volto a compensare una mediazione (sul punto per il rilievo del profilo causale: Sez. 6, n. 4113 del 14/12/2016, dep. nel 2017, rv. 269736) o che comunque il soggetto qualificato fosse stato effettivamente reso partecipe del patto, quale beneficiario della dazione o della promessa in relazione all’esercizio delle sue funzioni,essendo per contro insufficiente la mera consegna sine titulo di somme ad un intermediario, in mancanza di elementi idonei a dimostrare che si sia consumato un episodio di corruzione (sul punto Sez. 6, n. 1 del 2/12/2014, dep. nel 2015, Pedrotti, rv. 262929; Sez. 6, n. 2006 del 13/8/1996, Pacifico, rv. 206122).

6. Alla luce di tali premesse, si rileva che il Tribunale ha erroneamente valorizzato il tema della vanteria, giungendo ad escludere il reato in ragione del fatto che, secondo la proposta ricostruzione, non era emersa una specifica prospettazione da parte del Di Lascio della propria capacità di influenza ed al contrario risultava che il De Bonis era in grado di disporre di proprie entrature negli ambienti politici ed amministrativi: si è in realtà rilevato come il reato di traffico di influenze sia configurabile a prescindere dalla circostanza che ricorra una vanteria da parte del soggetto che riceva la promessa o la dazione, essendo bastevole che costui consapevolmente si avvalga dell’influenza riconosciutagli, ottenendo per questo denaro o altra utilità, ciò in cui si concreta lo sfruttamento della relazione, che nel caso di specie aveva parimenti formato oggetto dell’incolpazione provvisoria.
D’altro canto l’ordinanza genetica aveva posto in luce che non solo il De Bonis si era rivolto al Di Lascio in ragione delle relazioni di cui costui notoriamente e stabilmente godeva (il dato è invero incontestato), in primo luogo con il Presidente Pittella, ma si era concretamente avvalso del Di Lascio, al fine di perorare la causa del suo cliente Barozzi presso gli organi amministrativi chiamati ad occuparsi delle questioni legate all’appalto aggiudicato alla Cobar, concernenti lo sblocco dei pagamenti pretesi dal Barozzi.
A fronte di ciò il Tribunale, pur avendo dato conto di un incontro cui aveva partecipato il Di Lascio, unitamente al Pittella e al candidato Trerotola, con il Direttore Generale Marsico e pur avendo inoltre fatto riferimento ad una conversazione intercorsa tra il De Bonis e il Di Lascio in cui il primo riferiva al secondo di essere andato «dove mi avevi detto di andare a vedere…le carte, le cose,..il fascicolo..» (pag. 73 dell’ordinanza impugnata), ha contraddittoriamente concluso nel senso che il De Bonis si era autonomamente attivato, in quanto in
grado di farlo in forza delle sue autonome entrature.

7. Sotto diverso profilo va rimarcato come il Tribunale abbia dato conto del versamento di euro 25.000,00 nelle mani del Di Lascio, avvenuto il giorno successivo a quello delle elezioni regionali (somma che anche il Tribunale ha  escluso di poter ricondurre, al di là delle apparenze, ad un neutro contributo elettorale), ma abbia nondimeno prospettato che ciò valeva a connotare il fumus di un più ampio rapporto di tipo corruttivo, coinvolgente, per quanto è dato comprendere, il Presidente Pittella.
Orbene, anche con riguardo a tale aspetto risultano fondati i rilievi del P.M. ricorrente.
Deve infatti sottolinearsi che il Tribunale da un lato ha prospettato la riferibilità della dazione ad un consolidato rapporto corruttivo, ma dall’altro ha ritenuto che fosse configurabile genericamente il fumus di un siffatto rapporto, del quale non ha concretamente indicato origine, sviluppo e contenuto, in relazione a competenze e poteri del pubblico ufficiale coinvolto.
Va a questo riguardo rilevato che l’incolpazione provvisoria aveva ad oggetto l’esercizio dell’influenza presso gli uffici della Regione, competenti per le questioni relative al citato appalto, e che inoltre lo stesso Tribunale ha dato conto del rapporto intercorso tra il De Bonis e di Di Lascio e del successivo pagamento fatto nelle mani di quest’ultimo.
Ma alla resa dei conti, a fronte di quanto esposto nell’ordinanza genetica, in cui erano stati posti in stretta relazione i contatti tra il De Bonis e il Di Lascio, i contatti registratisi presso gli uffici amministrativi competenti e la dazione della somma, il Tribunale ha finito per sovrapporre solo genericamente un’ipotesi corruttiva, ipotizzando il coinvolgimento del Pittella, ma senza considerare quali competenze e poteri di quest’ultimo potessero dirsi dedotti nel patto corruttivo in una fase in cui lo stesso Pittella, già sospeso e sottoposto a misura custodiale, era stato poi assoggettato a misura non custodiale, pur di seguito revocata, nell’ambito di una separata indagine, e in cui comunque venivano in rilievo competenze spettanti agli uffici amministrativi.
In altre parole ad elementi sussumibili nella fattispecie del traffico di influenze, direttamente e primariamente coinvolgente il Di Lascio, a fronte della dazione ricevuta, quand’anche destinata a soggetto a lui comunque strettamente legato, il
Tribunale ha finito per contrapporre un’ipotesi di corruzione non specificamente delineata e dunque non idoneamente suffragata, non avendo ricostruito la connotazione funzionale del patto corruttivo e la connotazione causale della dazione, in relazione all’esercizio di competenze spettanti ad un definito pubblico ufficiale, che è stato sì individuato nel Pittella, ma senza un inquadramento contestualizzato di funzioni pubbliche realmente dedotte e concretamente esercitate.

8. I riscontrati vizi assumono dunque rilievo sia sotto il profilo giuridico sia sotto quello della motivazione e impongono l’annullamento in parte qua dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame, da effettuarsi alla luce dei rilievi esposti.

P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Potenza, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari personali.
Così deciso il 19/2/2020