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Confisca del profitto del reato nel caso di versamento all’erario degli importi richiesti dall’Agenzia delle Entrate
Sentenza Cass. Pen., sez. III, 9/5/2018, n. 32213

Ai sensi dell’art. 12 bis, comma 2 D. L.vo 74/2000, non può essere disposta la confisca qualora il contribuente abbia interamente versato all’Agenzia delle Entrate gli importi da questa richiesti, essendo tale norma posta a garanzia della pretesa tributaria.

Si deve pervenire alla medesima conclusione anche qualora la quantificazione operata in sede amministrativa e versata dal contribuente all’Agenzia delle Entrate risulti divergente dalla quantificazione operata in sede penale, in ragione dell’intervenuto raggiungimento di forme di accordo, conciliazione o transazione fiscale fra il contribuente e l’Agenzia delle Entrate.

 

Penale Sent. Sez. 3 Num. 32213 Anno 2018
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: CORBETTA STEFANO
Data Udienza: 09/05/2018

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da
De Francesco Mario, nato a Torino il 15/12/1962

avverso l’ordinanza del 28/11/2017 del Tribunale della libertà di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro
Gaeta, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
uditi i difensori, avv. Sergio Lorenzo Vitali, del foro di Torino, e avv. Tonio Di
Iacovo, del foro di Roma, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Torino, sezione del Riesame, imparziale accoglimento del ricorso proposto nell’interesse di Mario De Francesco avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal g.i.p. del Tribunale di Torino in data 27 ottobre 2017, ex art. 321, comma 1, cod. proc. pen., in riferimento all’art. 322 ter cod. pen., riduceva l’importo di cui al sequestro fino alla concorrenza del valore massimo di euro 2.689.952, ossia in relazione ai soli importi delle imposte indirette, che si assumono evase.
Il sequestro è stato disposto nel procedimento a carico del De Francesco, in quanto indagato per il delitto di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 2 d.lgs. n. 74 del 2000, per avere indicato, quale amministratore unico della Solver Enterprice srl (d’ora in avanti S.E.), nella dichiarazione annuale Ires e in quella Iva, al fine di evadere le relative imposizioni, elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, con l’evasione dei seguenti importi: 1.222.071 euro nel 2011; 1.248.231 nel 2012, 3.754.762 nel 2013.

2. Avverso l’indicata ordinanza, l’indagato, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, con cui si denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 321 cod. proc. pen., 322 ter cod. pen., 12 bis d.lgs. n. 74 del 2000, 6, comma 9 bis.3, d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015.
Premette il ricorrente che, in data 13 novembre 2017, l’Agenzia delle Entrate ha notificato al contribuente S.E., di cui il De Francesco è il legale rappresentate, cinque atti di contestazione, riportati integralmente nel ricorso, riferiti agli anni di imposta dal 2011 al 2015, che non contengono alcuna ripresa
fiscale sotto il profilo sia delle imposte dirette, sia delle imposte indirette, con l’applicazione, per ciascuna annualità, delle sanzioni previste dall’art. 6, comma 9 bis.3, d.lgs. n. 471 del 1997. In pari data, la S.E. ha provveduto al pagamento integrale delle sanzioni irrogate dall’Agenzia delle Entrate negli indicati atti di contestazione, come da copia del Modello unificato di pagamento per ciascuna annualità, pure integralmente riportati nel ricorso. Ciò premesso, osserva il ricorrente, il Tribunale ha ridotto l’importo di cui al sequestro relativamente all’asserita evasione delle imposte dirette, confermandolo, invece, per le imposte dirette. Premesso che le fatture in esame sono emesse in regime di reverse charge, in regione della natura dei beni compravenduti (rottami e materiali ferrosi), il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto ravvisabile il profitto del reato riconducibile al valore dell’imposta indebitamente detratta, poiché, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’utilizzatore perderebbe il diritto alla registrazione dell’importo IVA “a credito”, determinandosi in tal modo un debito iva (virtuale), derivante dalla registrazione del medesimo importo “a debito”.
Ad avviso del ricorrente, l’interpretazione seguita dal Tribunale disattenderebbe non solo le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 16/E del 11 maggio 2017 relativamente alla disciplina del reverse charge, ma, soprattutto, il disposto dell’art. 12 bis comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, che inibisce la confisca per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario. Ed invero, posto che la ragione della confisca, in materia penale tributaria, risiede nel recupero del debito tributario, come accertato dall’Agenzia delle Entrate, una volta estinto quest’ultimo, come nel caso di specie, verrebbe meno la funzione del vincolo reale disposto a carico del contribuente. In altri termini, stante l’assenza di profitto, in conseguenza del condono “tombale” effettuato dalla S.E. in relazione (anche) alle annualità in contestazione, non vi sarebbe più spazio per il provvedimento ablatorio, lasciando, peraltro, impregiudicato il futuro giudizio di merito in ordine alla sussistenza del reato.

3. Con motivi aggiunti, depositati in data 19 aprile 2018, il ricorrente sviluppa le argomentazioni dedotte con l’atto introduttivo, insistendo per l’accoglimento del ricorso. In particolare, si evidenzia come il Tribunale abbia applicato in maniera che si assume distorta i principi affermati da Cass. civ., Sez. 5, n. 16679, 4 febbraio 2016, Rivadossi, secondo cui, anche quando le fatture utilizzate sono soggette al regime dell’inversione contabile (cd. reverse charge) – e dunque non generano passaggio di denaro tra le parti a titolo di iva, perché il cessionario non la versa al cedente – tuttavia la frode opera, come limite al principio fondamentale di neutralità dell’iva, ossia al principio secondo cui la detrazione dell’imposta è accordata se i requisiti dell’operazione sono comunque soddisfatti. In altri termini, secondo quella decisione, solo se l’operazione sottostante è fraudolenta, e quindi la fattura registrata è viziata da inesistenza, l’acquirente viene a perdere
il diritto alla detrazione dell’iva per le la fattura è stata emessa in regime di reverse charge; una situazione del genere, per contro, non sarebbe ravvisabile nel caso in esame, in quanto l’Amministrazione finanziaria ha dato atto della buona fede della S.E. con gli indicati atti di accertamento, in cui non è stata elevata alcuna contestazione relativamente alle imposte indirette. In ogni caso, il Tribunale avrebbe omesso ogni valutazione in relazione al profilo della proporzionalità tra l’importo della somma stimata quale profitto e il valore dei beni nella disponibilità dell’indagato, a carico del quale è stata applicata la misura ablativa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Premesso che, in questa sede, non è in discussione la sussistenza del delitto di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, ma solo le condizioni legittimanti il disposto sequestro del profitto del reato in esame, ritiene il Collegio che l’ordinanza impugnata non abbia fatto corretta applicazione dell’art. 12 bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, secondo cui “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”.

3. Invero, il sequestro in questione è stato disposto come misura prodromica volta a garantire l’effettività dell’eventuale successiva confisca del profitto del reato; orbene, osserva la Corte come la circostanza che il contribuente abbia inteRente versato all’erario gli importi richiesti dall’Agenzia delle Entrate, con riguardo a tutte le annualità in contestazione, si pone come elemento necessariamente ostativo alla possibilità di procedere alla confisca di quello che, dal Tribunale, è ritenuto essere il profitto del reato e, per l’effetto, al sequestro finalizzato alla confisca medesima.
3.1 Né può avere un qualche rilievo il fatto, che, nel caso di specie, vi sia divergenza fra la quantificazione dell’imposta evasa compiuta dal Tribunale – peraltro in forza di una discutibile interpretazione che nega efficacia retroattiva delle norme più favorevoli introdotte dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (il quale ha aggiunto, all’art. 6 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, i commi 9-bis.1, 9- bis.2 e 9-bis.3) in tema di disciplina sanzionatoria delle operazioni soggette a reverse charge – e l’accertamento del suo ammontare da parte dell’Erario, ossia del creditore, il quale, per contro, ha applicato retroattivamente le disposizioni indicate e le conseguenti sanzioni, come ritenuto dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 16/E del 11 maggio 2017.

3.2 Questa Corte, infatti, con indicazione che merita di ricevere continuità in quanto evidente espressione di un atteggiamento di favor del legislatore per le forme di definizione del profilo strettamente tributario delle vicende connesse alla violazione delle disposizioni penali di cui al d.lgs. n. 74 del 2000 che consentano comunque all’Erario di conseguire il pagamento delle imposte ritenute dovute, ha precisato che, in materia di confisca di beni costituenti il profitto o il prezzo di reati tributari, la previsione di cui all’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015, secondo la quale, anche in caso di condanna o di applicazione della pena concordata, la confisca, diretta o per equivalente, “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, si riferisce alle assunzioni d’impegno nei termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore, ivi compresi gli accertamenti con adesione, IR conciliazione giudiziale, le transazioni fiscali ovvero l’attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 7 luglio 2016, n. 28225).

3.3 Indubbiamente tale principio, in forza del quale deve attribuirsi rilevanza determinante, ai fini della esclusione della confiscabilità del profitto del reato tributario, alla quantificazione di esso operata in sede amministrativa, anche laddove la stessa sia divergente rispetto a quella acquisita in sede penale in ragione dell’intervenuto raggiungimento di forme di accordo, conciliazione o transazione fiscale fra il contribuente e la Agenzia delle Entrate, è, a fortiori, operante laddove non di solo impegno ad adempiere alla obbligazione tributaria si tratti ma, come nel caso di specie, di effettivo adempimento di essa, comprensivo di interessi e sanzioni.
3.4. E difatti tale interpretazione è in linea con quanto affermato da questa Corte, secondo cui in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria (Sez. 3, n. 39187 del 02/07/2015 – dep. 28/09/2015, Lombardi Stronati, Rv. 264789).
3.5. Non è perciò pertinente il richiamo, operato dal Tribunale, al principio del “doppio binario”, ossia al fatto che le determinazioni assunte dall’Agenzia delle Entrate non sono vincolanti per il giudice penale; un principio del genere, infatti, trova applicazione in relazione alla sussistenza degli elementi tipici di questo o quell’illecito penale tributario, ma non relativamente alla determinazione del profitto del reato, laddove il creditore, ossia l’Agenzia delle Entrate, a seguito del pagamento di quanto dovuto dal contribuente, dichiari di non aver più nulla da pretendere dal contribuente medesimo. In altri termini, così come la previsione di cui al comma 1 dell’art. 12 bis d.lgs. n. 74 del 2000, disponendo, come obbligatoria, la confisca dei beni che, ai fini che qui rilevano, costituiscono il profitto dei reati tributari, è posta a garanzia della pretesa tributaria, parimenti l’ipotesi del comma 2 sta a significare che se non vi è pretesa tributaria, nemmeno vi può essere confisca e, di conseguenza, neanche la cautela reale ad essa finalizzata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e il decreto di sequestro in
data 27 ottobre 2017 e dispone la restituzione di quanto in sequestro all’avente
diritto.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 cod. proc. pen.
Così deciso il 09/05/2018.