Andrea Di Giuliomaria Avvocato penalista pisa

Cass. Pen., Sez. III, 04/06/2019, n. 31223

Sono utilizzabili nel procedimento penale le dichiarazioni eteroaccusatorie rese dal coindagato nel corso delle operazioni di verifica fiscale della Guardia di Finanza, qualora, al momento dell’assunzione non siano ancora emersi indizi di reato.

Nel corso delle operazioni di verifica tributaria poste in essere dalla Guardia di Finanza possono emergere fatti integranti uno dei delitti di cui al D. L.vo. 10 marzo 2000, n. 74.
In merito, l’art. 220 disp. att. c.p.p. dispone che, se nel corso delle attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice di rito.
Sul punto la Cassazione, ponendosi in continuità con l’indirizzo interpretativo assolutamente dominante, ha ritenuto che il presupposto per l’operatività dell’art. 220 disp. att. c.p.p. cui segue il sorgere dell’obbligo di rispettare le garanzie difensive previste in materia penale, è costituito dalla possibilità di attribuire “rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa” a prescindere della circostanza che possa essere riferito a una persona determinata.
Nel caso concreto la Cassazione ha ritenuto legittima l’attività svolta dalla Guardia di Finanza, e, dunque, utilizzabili le informazioni assunte dal coindagato, considerato che al momento dell’assunzione delle dichiarazioni non era ancora emerso in tutti i suoi elementi costitutivi il fatto di reato ed, in particolare, non risultava accertato il superamento della soglia di punibilità, elemento questo indefettibile del delitto di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 D. Lvo. 74/2000.

 

Penale Sent. Sez. 3 Num. 31223 Anno 2019
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: GAI EMANUELA
Data Udienza: 04/06/2019

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Di Vico Alfonso, nato a Maddaloni il 20/08/1969
avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale del riesame di Santa Maria Capua
Vetere il Benevento in data 24/01/2019;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro
Molino, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’indagato l’avv. Goffredo Grasso che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale del riesame di Santa Maria Capua Vetere ha respinto la richiesta di riesame proposta da Di Vico Alfonso, avverso il  decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta e per equivalente, emesso dal Giudice delle indagini preliminari del medesimo Tribunale, in relazione al reato di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, eseguito mediante sequestro di un immobile del ricorrente.

All’indagato è contestato il reato di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, in relazione alla omessa dichiarazione delle imposte sui redditi, per all’anno  2016, al fine di evaderle, quale amministratore di fatto della società Nuova Italia srl, ed essendo già stato amministratore unico fino al 13 settembre 2017. Fatto commesso nel gennaio 2018.

2. Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso, ex art. 311 cod. proc. pen., il difensore di fiducia del Di Vico, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione come disposto dall’art. 173 dis.att. cod.proc.pen.

2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge processuale in relazione agli artt. 191, 192, 63, 64, 350 cod.proc.pen. e il vizio di omessa motivazione. Sostiene il ricorrente la carenza di motivazione in relazione all’eccezione difensiva di inutilizzabilità delle dichiarazioni etero accusatorie rese da Di Donna Angelo, nel corso delle operazioni di verifica fiscale della Guardia di Finanza, in data 21/06/2018, poi trasfuse nel pvc del 19/09/2018, in violazione dell’art. 220 disp. att. cod.proc.pen., e degli artt. 63 e 64 cod.proc.pen., dichiarazioni neppure allegate al pvc che ne riporterebbe solo alcuni stralci.
Al momento in cui il Di Donna era stato sentito, in merito ai rapporti di conoscenza con il Di Vico, erano già sussistenti gli indizi di reità in relazione al reato ipotizzato, avendo il Di Donna già omesso la presentazione della dichiarazione dei redditi, sicchè le sue dichiarazioni sarebbero radicalmente inutilizzabili, per violazione degli artt. 220 disp, att. cod.proc.pen., perché rese senza le garanzie difensive e senza l’osservanza degli artt. 63- 64 cod.proc.pen.

2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 220 disp.att. cod.proc.pen. e motivazione apparente in relazione all’eccezione difensiva di inutilizzabilità delle dichiarazioni del Di Donna che attribuivano la qualifica di
amministratore di fatto, in capo al Di Vico, della Nuova Italia srl, dichiarazioni rese allorchè erano già emersi indizi di reità nei suoi confronti, e all’omessa valutazione del pvc del 21/06/2018, non allegato all’informativa di p.g.
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso non mostra ragioni di fondatezza e va, pertanto, rigettato.

5. Le doglianze formulate nei due motivi di ricorso, che possono essere trattate congiuntamente, incentrate sull’inutilizzabilità della dichiarazione etero accusatorie rese dal coindagato Di Donna, acquisite nell’ambito di un’attività di verifica e perciò governata dalle regole dettate dall’art. 220 disp. att. cod. proc.
pen., sono infondate.
È, indubbio che, a norma dell’art. 220 disp. att. cod.proc.pen., quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale, devono essere compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice.
In tale ambito si è chiarito che il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, in quanto atto amministrativo extraprocessuale, costituisce prova documentale e, qualora emergano indizi di reato, occorre
procedere secondo le modalità previste dall’art. 220 disp. att., giacchè altrimenti la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile (Sez. 3, n. 15372 del 10/02/2010, Fiorillo, Rv. 246599; Sez. 3, n. 6881 del 18/11/2008, Ceragioli, Rv. 242523). Ne consegue che la parte di documento compilata prima dell’insorgere degli indizi, ha sempre efficacia probatoria ed è utilizzabile, mentre non è tale quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di rito.
Il presupposto per l’operatività dell’art. 220 disp. att. cod.proc.pen., cui segue il sorgere dell’obbligo di osservare le disposizioni del codice di procedura penale per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire ai fini dell’applicazione della legge penale, è costituito dalla sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. 3, n. 15372 del 10/02/2010, Fiorillo, Rv. 246599; Sez. Un., 28/11/2004, n. 45477, Raineri, Rv 220291; Sez. 2, 13/12/2005, n. 2601, Cacace, Rv. 233330).
Quanto al momento a partire dal quale sorge l’obbligo di osservare le norme del codice di procedura penale e, dunque, diviene operativo l’art. 220 disp att. cod.proc.pen., da parte di chi svolge attività ispettiva, occorre muovere dalle citate Sezioni Unite Ranieri che hanno chiarito che il presupposto dell’operatività della norma sia non l’insorgenza di una prova indiretta, quale indicata dall’art. 192 cod. proc. pen., bensì la sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. U, n. 45477 del 28/11/2001, Raineri, Rv. 220291).

Da cui il corollario che la rilevanza penale del fatto, pur nei limiti indicati dal citato arresto, deve emergere in tutti i suoi elementi costituitivi tra cui, avuto riguardo alla fattispecie contestata di omessa denuncia, ex art. 5 del d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, il superamento della soglia di punibilità che costituisce elemento costitutivo del reato (Sez. 3, n. 7000 del 23/11/2017, Venturini, Rv. 272578 – 01; Sez. 3, n. 35611 del 16/06/2016, Monni, Rv. 268007 – 01). Occorre, in altri termini, che nell’inchiesta amministrativa sia già delineato, in termini indicati dalle citate Sezioni Unite, un fatto di rilievo penale inteso questo nella sua completezza come descritto nella fattispecie normativa.

6. Così poste le coordinate interpretative, il Tribunale cautelare ha evidenziato, quanto al fumus del reato, che il ricorrente Di Vico Alfonso era stato amministratore e socio unico della Nuova Italia srl, fino al 13 settembre 2017, essendosi dimesso e sostituito nella carica di amministratore da Di Donna Angelo; che la sostituzione nella carica era avvenuta prima della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazioni dei redditi, dichiarazione omessa alla scadenza, nel gennaio 2018, momento nel quale la carica formale era in capo al nuovo amministratore Di Donna Angelo. Ha poi evidenziato che, dagli accertamenti della Guardia di Finanza, la società era rimasta inattiva dal momento della sostituzione dell’amministratore, da cui ha tratto il convincimento che l’amministratore nominato (Di Donna) era un mero uomo di paglia e che la gestione era imputabile al precedente amministratore (Di Vico) pur dimessosi poco prima (settembre 2017) come confermato dalle dichiarazioni rese Di Donna, nel corso dell’attività amministrativa della Guardia di Finanza, dichiarazioni su cui si appunta la censura di inutilizzabilità per violazione degli artt. 220 disp. att. cod.proc.pen. e 63 e 64 cod.proc.pen.
In tale ambito, il tribunale cautelare, contrariamente all’assunto difensivo, ha escluso la violazione citata dal momento che solo a seguito degli accertamenti in ordine ai costi deducibili o meno su cui vi era controversia, il Pubblico Ministero accertava all’ammontare dell’evasione di imposta relativa all’Ires superiore al limite previsto dall’art. 5 del del d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, per l’anno 2016.
Al momento dell’assunzione delle dichiarazioni rese dal Di Donna, non risultava accertato il superamento della soglia di punibilità, e dunque, l’attività svolta dalla Guardia di Finanza di assunzione di informazioni da parte del Di Donna, nell’ambito dell’indagine amministrativa, era legittima e non posta in violazione dell’art. 220 disp. att. cod.proc.pen. e degli artt. 63 e 64 cod.proc.pen.
Infine, rileva, il Collegio che la censura è, sul punto, anche aspecifica e il motivo è privo di autosufficienza in merito al superamento della soglia di punibilità nel momento in cui il Di Donna ha reso le dichiarazioni etero accusatorie. E’
principio pacifico che quando con il ricorso per cassazione si lamenti, come nella specie, l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di ricorso deve allegare, a pena di inammissibilità per aspecificità, il fatto da cui trae la sanzione processuale.

7. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 04/06/2019